Il cavallo a dondolo

Un altro giocattolo molto venduto era un cavallo costituito da un bastone di legno con briglie o maniglie, coronato da una testa di cavalloni cartapesta dipinta con stoffa imbottita e permetteva al bambino di galoppare liberamente dove voleva. Un altro tipo di cavallo giocattolo era azionato da sofisticati meccanismi, in legno, metallo o cartapesta, questi piccoli grandi capolavori di scultura, rappresentano uno dei più teneri e romantici simboli del mondo antico. Dal cavallo-bastone, il primo vero cavallo-giocattolo, si perfeziona lo cheval-jupon”, da indossare con l’ausilio di due bretelle. Legni pregiati e rivestiti a volte con vera pelle di cavallino, code di crine e selle di cuoio, dondolanti e deambulanti.

Giochi all'aria aperta

Tra i giochi all’aria aperta, uno, consiste nello staccare un petalo da una rosa, farne, un fagottino, rigonfiarlo e poi farlo scoppiare sulla fronte, propria o di una compagna, oppure su di un braccio. Un altro, molto simile, consiste nel raccogliere un papavero ancora chiuso nel suo bocciolo, che aperto con cautela, assume la figura di una minuscola ballerina, vestita di rosa o di rosso tenue ed il calice di un fiore già appassito ne diventa, opportunamente infilato là dove il bocciolo è stato reciso, la minuscola testa.
I ragazzi sapevano costruirsi strumenti musicali anche complessi, come il fìfolo o fis-cèto de legno (fischietto). Si prende un pezzo di bastoncino di salice, ben liscio, e si batte delicatamente la corteccia, per farla staccare senza che si rompa. Viene suddivisa in due parti: una più lunga dell’altra. Sulla più corta viene operata un’incisione, per toglierne una striscia, dalla quale passa l’aria che viene introdotta soffiando. I ragazzi si divertono a far navigare, soffiandovi contro con forza, le proprie barchete, costruite con la carta di qualche quaderno già utilizzato.

I giocattoli delle bambine

In passato erano veramente pochi i bambini delle campagne venete che possedevano giocattoli acquistati dai negozianti e la maggior parte erano costruiti dai genitori o dai bambini stessi. Ci sono comunque due giocattoli a cui nessuna bambina ha dovuto e rinunciare: le bambole e la palla. La bambola delle bambine del popolo è costruita in casa: è di pezza, imbottita di segatura, di stracci o di spelaja (lo scarto della seta). Gli occhi, il naso, la bocca e le orecchie sono ricamati o ricavati da materiali di fortuna. I capelli sono costituiti da fili di lana attorcigliati, oppure da “mostàci del sorgo”.
Accanto alla bambola, c’era la bala (palla) usate nei due giochi vicentini prefferiti: “bala a muro” e “bala a rimbalso”. Il primo gioco è accompagnato sempre da una filastrocca. Mentre gioca, la bambina recita le parole e intanto che la palla è in volo, compie il gesto corrispondente a quanto va dicendo ad alta voce. Non appena sbaglia lascia il posto a un’altra compagna. Nella “bala a rimbalso” le bambine battono in cadenza la palla contro il suolo con il palmo della mano e contano i rimbalzi: risulta vincitrice chi riesce a raggiungere il numero più alto di palleggi.

Giochi nelle campagne venete



Vi presentiamo alcuni giochi solamente maschili perché per giocarvi si ha bisogno di pietre, legno o rottami, qui sotto ve ne illustriamo alcuni:
- schèi busa: bisogna scavare una buca nella quale ciascuno mette il suo schèo, che viene poi sotterrato, e la terra ben pestata. Il gioco consiste nello stanare i soldi e nel farli saltare fuori dalla buca per mezzo della solita scaja (sasso). Vince chi riesce a gettar fuori dalla buca più monete. Quando si vuole giocare sul serio, si usano al posto dei soldi dei bottoni, che assumono quotazioni diverse e si distinguono in ànima (il bottone normale), in batalòn (quello del cavallo dei pantaloni); in botòn (il bottone da giacca), in femenòn (il bottone grande da cappotto).
- Il briscolo è costituito da due pezzi di fune legate saldamente attorno ad un asse di legno che fungeva da seggiolino. All’aperto era attaccato ai solidi rami di un albero, al chiuso invece veniva fissato ad una trave. A volte i giocattoli da costruire erano improvvisati. Uno di questi era l’omino che veniva costruito con una “caneta” di una ventina di centimetri.

Cos'è una RIEVOCAZIONE STORICA?

Rievocazione storica: è un'attività giocosa con cui uno o più persone cercano di riproporre vicende o situazioni di epoche passate. Negli ultimi anni questo fenomeno è stato sempre più oggetto di attenzioni per il maggior numero di persone che ne sono entrate a far parte. La rievocazione storica è stata spesso confusa con attività folkloristiche o feste paesane. Lo scopo della rievocazione storica infatti è quello di valorizzare e riscoprire le tradizioni storico-culturali di un popolo.
I revocatori storici cercano di riportare in vita la storia, ricostruendo repliche di reperti archeologici (
armi, utensili, abiti ecc.) e usandoli. Attraverso questo processo di archeologia sperimentale si è in grado di capire in maniera più completa il passato.
Per diffondere un messaggio è necessario usare varie strategie di comunicazione. Queste strategie servono a far conoscere nei minimi dettagli ciò che si vuole proporre.Troviamo vari modi per diffondere un messaggio: dei volantini, dei cartelloni pubblicitari, locandine, pubblicità su internet, contatti radiofonici, ecc…) . Tutti questi mezzi sono essenziali per dare un impatto positivo o negativo a chi riceve il messaggio.
I gruppi interessati a queste attività si suddividono per periodo storico ed evento trattato. Lo scopo è di creare un gruppo di rievocazione storica che analizzi e discuta le sfaccettature di un determinato evento con particolare attenzione per ciò che riguarda i costumi, le armi, le armature e il loro utilizzo.

Molti gruppi di rievocazione tendono a seguire una interpretazione flessibile della storia, alcuni fanno un passo in più e mescolano elementi storici con elementi di fantasia, o incorporano la tecnologia moderna in un ambiente storico. Vi sono inoltre gruppi di appassionati di giochi di ruolo che organizzano vere e proprie partite di gioco di ruolo dal vivo, in costume.

La PROMOZIONE secondo noi

Promozione : lo stimolo che tende a far conoscere e apprezzare un servizio, un prodotto o un'idea. La promozione è una delle "quattro P" del marketing mix, ossia dell'insieme di strumenti di marketing operativo che l'impresa può utilizzare per influenzare il suo mercato. Le altre "P" sono il prezzo, il prodotto e la distribuzione (placement in inglese).
Il processo di comunicazione promozionale, nel marketing di un'impresa, si articola lungo queste fasi:
- identificazione del pubblico-target (rivolto al turismo della memoria).
- definizione degli obiettivi della comunicazione (divulgazione di un evento rievocativo).
- elaborazione di una strategia di comunicazione (azioni rivolte alla realizzazione di deplian divulgativo, cartellonistica, striscioni, locandine).
- definizione dei mezzi e strumenti da utilizzare (riprese televisive, radiofoniche, diffusione programmatica di notizie con ufficio stampa, inviti mirati, creazione di un blog o di un sito web).
- definizione del budget (preventivo di spesa).
- pianificazione del mix promozionale .
- creazione dei messaggi ed esecuzione (realizzazione tecnica) .
- diffusione .
- misurazione dei risultati conseguiti (valutazione dell'efficacia della comunicazione).

Le origini della Festa del Grano

La Festa del Grano ha probabili origini pagane che riguardano i patroni delle diverse località d’italia dove si festeggia questa rievocazione. Elemento caratterizzante della manifestazione è la sfilata dei carri di grano, riproduzioni in miniatura di monumenti famosi, di strumenti agricoli riguardanti la mietitura, oppure opere scaturite dalla fantasia dei "carristi", realizzate mediante tecniche differenti di intreccio di steli di grano. Gli "Artisti della Paglia" danno vita a "trecce", "laccetti", raffinate e pregiate lavorazioni che sembrano trame intessute.
Nel corso del tempo, accanto alle tecniche conosciute e diffuse, altre sono state sperimentate ed applicate agli impalcati di legno o ferro, denotando una continua evoluzione della manifestazione; i modelli vengono resi con particolare realismo, con la realizzazione di bifore, trilobi, archi rampanti, colonne tortili. La sfilata dei carri, trainati da trattori o da animali, lungo il "tracciato della tradizione", attrae numerosi turisti.

STORIA: LE PRIME ORIGINE PAGANE:

Gli storici, gli antropologi ed altri esperti delle scienze sociali, hanno investigato al fine di precisare l'origine della Festa del Grano. Le ipotesi formulate sulla fase incipiente di questo evento catalizzante, sono varie. La maggior parte, comunque, concorda nel fatto che, da rito pagano, di epoca romana, la festa si sarebbe trasformata, successivamente, nei secoli, in un culto cristiano.

L’EVOLUZIONE DELLA FESTA:

Con il trascorrere degli anni, i semplici carri trainati dai buoi, riempiti di grano, cominciarono ad essere arricchiti, con ghirlande di spighe e fili di paglia intrecciati. Nel corso dell'Ottocento, la manifestazione subì un'evoluzione e fecero la comparsa le prime riproduzioni di quadri e altari votivi.

Oltre ai carri di grano, è possibile osservare i paggi gonfalonieri, i cavalieri e, soprattutto, i caratteristici gruppi folcloristici, che danno un tocco di colore alla manifestazione
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LA CAMPANA (o "Campanon")

Il gioco della campana è tra i più antichi e diffusi che si conoscano al mondo. Nessuno sa dove sia nato questo gioco che è praticato, con leggere varianti, nei paesi più diversi: dall'Inghilterra alla Tunisia, dall'India alla Cina, dalla Russia al Perù. Una curiosità: i bambini della Birmania lo giocano saltando accovacciati con le mani sulle anche. Le varianti non esistono solo tra le varie nazione ma anche all’interno dello stesso Stato o persino della stessa città. A San Francisco negli Stati Uniti, per esempio, sono stati registrati 19 modi diversi di giocare a "hopscotch", che è il nome inglese della campana. Mentre nel Polesine, alla foce del fiume Po, la campana si chiama "campanòn" o "scalòn" e una volta esistevano 44 modi diversi di giocare. Uno dei disegni più antichi della campana è tracciato sulla pavimentazione del foro romano a Roma. Durante il periodo dell'impero, le legioni romane costruirono grandi strade selciate per collegare i paesi del Nord Europa con quelli mediterranei e dell'Asia Minore. Le superfici lisce di queste grandi vie rappresentarono il posto ideale per questo gioco. Si dice che furono proprio i soldati romani a far conoscere la campana ai bambini dei paesi conquistati. Nella versione più semplice, si gioca gettando la piastrella nella casella contrassegnata con il numero 1 poi saltando con un solo piede si entra nella campana si raccoglie la piastrella e ci si volta e si ritorna indietro fino ad uscirne, sempre su un piede solo, badando bene a non pestare le linee di separazione tra una casella e l’altra e a non poggiare l'altro piede a terra pena la perdita del turno di salto. Quindi si lancia la piastrella cercando di farla fermare nella casella numero 2, in caso di successo si procede come prima, altrimenti si passa la mano. Una volta raggiunta l'ultima casella si torna indietro. Vince chi riesce a completare tutte le caselle.

C'era una volta la "Lippa"

Come tanti giochi di cinquant'anni fa, anche per la lippa le regole si basano su di un canovaccio più o meno preciso, sul quale si innestavano varianti che modificavano, anche sensibilmente, le regole di dettaglio, tanto che accadeva di veder giocare in modo diverso nei diversi rioni del paese. Particolarmente colorito e variabile era anche il vocabolario del gioco, anch'esso mutevole da zona a zona, tranne che per i termini che indicano gli strumenti essenziali del gioco: "el bache" e "la lipa".
Di questo vocabolario diamo qui alcuni termini essenziali, anche per rendere poi comprensibile lo svolgimento del gioco.
El bache: piccola mazza di legno, il più possibile rettilinea e cilindrica, del diametro di non più di 3 cm. e lunghezza compresa tra 50 e 60 cm.; spesso veniva ricavato da un manico di scopa non più utilizzata.
La lipa: tronchetto di legno, dello stesso diametro (e della stessa provenienza) del bache, lungo circa 15 cm., suddiviso in tre parti pressappoco uguali, di cui le due di estremità sono modellate a punta conica, per formare i due "pèci".
La ca': la casa, cioè la sede della squadra battitrice, costituita da un cerchio, del diametro di circa 90 cm. o poco più, tracciato per terra con un legnetto appuntito, se il campo di gioco è in terra battuta, oppure con una scheggia di laterizio (mattone) se il campo da gioco è in cemento (di solito l'aia su cui si essiccavano, in estate, le granaglie); all'interno della casa, appoggiato su due pietre appiattite, o su due "mése prede" (mezzi mattoni) si appoggia el bache quando non deve essere usato per battere e deve, invece, costituire il bersaglio dei lanciatori della squadra avversaria fuori casa.
Càa!: grido di avvertimento del battitore della squadra di casa per richiamare l'attenzione dei giocatori avversari, avvisandoli che intende battere e dare così inizio alla "mano" di gioco, invitandoli a prepararsi a ricevere; altri gridi di avvertimento usuali sono, ad esempio, "peguréen!" oppure "lipa!".
La vàa!: grido di risposta dei giocatori della squadra avversaria fuori casa, che dichiarano di essere pronti a ricevere e quindi il battitore può battere; altri gridi di risposta sono, ad esempio, "mèèè.." (imitando il belato della pecora) in risposta a "peguréen!" oppure "lapa!" in risposta a "lipa!".
Da' i pèci: colpire con il bache una delle due estremità appuntite della lipa, in modo che questa salti per aria e, mentre è in aria, colpirla al volo con il bache per scagliarla il più lontano possibile dalla casa.
Cüntà i bachi: determinazione del punteggio di "mano", calcolato pari al numero di bachi consecutivi in linea retta che si frappongono tra il punto in cui si trova la lipa dopo aver dato i pèci e la casa; tale numero deve essere stimato ad occhio dalla squadra di casa; se i giocatori avversari ritengono eccessivo il numero di bachi dichiarato e quindi superiore a quello effettivo, possono chiedere la verifica dicendo "gh'en fò!"; a questo punto si procede alla misurazione "bache a bache" il linea retta verso la casa; prima della verifica la squadra di casa può dichiarare che "ca' fin'in co' l'è mé" (a volte abbreviato in "ca' fin'in co'"), cioè "la casa fino in capo è mia"; in tal modo nel numero di bachi può essere conteggiato il diametro della casa, guadagnando un paio di punti e, soprattutto, evitando di perdere la casa magari a causa di un solo "bache".
Sganìssia: scorrettezza, inganno; una sganìssia che frequentemente la squadra di casa tentava di commettere durante la conta dei bachi consisteva nel procedere disponendoli a zig-zag, anziché perfettamente allineati, in modo che, alla fine, il numero risultante dalla conta (e quindi il punteggio) fosse più elevato.

Pensandoci bene, sarebbe bello e divertente riprendere e rivedere, in qualche occasione, il gioco della lippa. Certo ci vogliono spazi adatti, ma qualche grande piazzale libero da intralci (pensiamo al parcheggio del Centro Commerciale) in particolari ore di determinati giorni, andrebbe benissimo.

REGOLE DEL GIOCO DELLA LIPPA

SQUADRE: Si affrontano due squadre, di 2 giocatori ciascuna; all'inizio del gioco si sorteggia chi sta in casa (squadra battitrice) e chi fuori casa (squadra ricevente). All'interno di ogni squadra i giocatori stabiliscono l'ordine secondo cui si alternano nel gioco.

PARTITA: Una partita è composta di più "mani" (sono le manches francesi o i games inglesi). Si stabilisce un punteggio da raggiungere (ad es. 1000 punti). Vince la squadra che raggiunge o supera per prima il punteggio prefissato.

MANO: La squadra che sta in casa inizia la mano. Il primo battitore butta in aria la lippa e la colpisce al volo con la mazza, cercando di scagliarla più lontano possibile. Se uno dei giocatori della squadra ricevente riesce a prendere la lippa al volo, la squadra battitrice viene estromessa e si scambia con la squadra ricevente. La mano termina senza variazioni di punteggio e se ne inizia un'altra con le squadre scambiate.
Se invece la lippa arriva a terra, un giocatore della squadra ricevente la prende dal punto dove si è fermata e, da lì, la lancia verso la casa, cercando di colpire la mazza appoggiata sulle due pietre (in alcune varianti basta far entrare la lippa nel cerchio della casa). Se ci riesce, la squadra battitrice viene estromessa e si scambia con la squadra ricevente e la mano termina senza variazione di punteggio e se ne inizia un'altra con le squadre scambiate.
Se il giocatore ricevente non riesce a colpire la mazza (o a entrare nel cerchio), il battitore inizia a dare "i pèci". Si danno 3 pèci, cioè tre colpi, cercando di scagliare la lippa il più lontano possibile dalla casa. Dopo aver dato i tre colpi, la squadra battitrice dichiara la distanza, stimandola a occhio in numero di mazze. Se la squadra ricevente accetta la stima, il numero rappresenta il punteggio di mano, la mano termina e se ne inizia un'altra con la squadra di casa che mantiene la battuta.
Se la squadra ricevente non accetta la stima, si procede alla verifica. In tal caso, se il risultato è favorevole alla squadra battitrice, il punteggio conquistato è pari al numero effettivo di mazze conteggiate e la squadra di casa che mantiene la battuta. Se invece il risultato è sfavorevole alla squadra battitrice, in quanto il numero di mazze conteggiato è inferiore a quello dichiarato, la squadra battitrice non raccoglie punti e viene estromessa dalla casa e sostituita dalla squadra ricevente.
Si procede nel gioco fino a quando una delle due squadre raggiunge o supera il punteggio prestabilito.

LA BALA DEL FORNO

L’immagine dell’uomo che sostiene con la schiena la volta del forno ha un sapore mitologico.
Come Atlante, padre delle Esperidi, fu condannato da Zeus a sostenere sulle spalle il peso della volta celeste per aver osato sfidare il dio, così quest’uomo, per una prosaica questione di “etica artigianale”, è costretto a rimanere in eterno quale puntello del forno. Bisogna considerare che il forno aveva una grande importanza nella mitologia contadina e costituiva uno dei due “poli” della cucina: l’altro era il focolare sul quale era appeso il paiolo che bolliva in continuazione. Il forno, inferno in miniatura , nelle abitazioni rurali di pianura era posto all’esterno della casa, isolato quasi un piccolo tempio, nel quale avvenivano la lievitazione e la cottura del pane, misteriosi e magici processi di trasformazione. Era dunque la “ bala del forno” una sorta di cupola celeste, sotto la quale si consumava un rito sacro, collegato ai ritmi della vita umana, ai cicli della morte del grano e della sua rinascita. Come già abbiamo notato, le figure mitiche sopravvivono nel folklore sotto forma di scherzi e spauracchi infantili :-Vara no star ‘ndare tacà la boca del forno, ca ghè l’òmo là ca tièen su la bala ca t’magna !-. Il nostro titanico Atlante è così stato relegato al ruolo di collaboratore domestico, con il compito di evitare scottature ai bambini troppo audaci nell’avvicinarsi al fuoco del forno.

SALVANELO LADRO DI CAVOLI

Sulla luna la gente dice che ci sono delle montagne, ma non sono montagne invece, è questo Salvanèlo che a rubare i capussi (cavoli), ha una carriola piena di cavoli.
C’erano un uomo e una donna, vecchiotti, che facevano gli ortolani e, in previsione dell’inverno, avevano messo a coltura il loro pezzetto di terra con i cavoli. Salvanèlo era uno con le mani lunghe.
Una notte di vento e pioggia si decise, e andò a rubare i cavoli. Gli ortolani, stando a letto, sentirono dei rumori e si affacciarono alla finestra. Allora Toni disse a sua moglie, che era la Maria:- Ci stanno rubando i cavoli?- , -Taci e dormi- fece la moglie. Rimasero a letto. Ma di lì a poco ancora. Toni sentì un altro rumore, andò alla finestra e vide proprio quest’uomo, chiamato Salvanèlo, che taglia i cavoli con un coltellaccio da pestare il grasso. Allora si alzarono in fretta e gli corsero dietro:- Disgraziato delinquente! Venire a rubare i nostri cavoli! Che noi facciamo con tanta fatica!- Salvanèlo scappava con la carriola carica di cavoli.
Corri e corri e corri, compare la luna tra nuvole ed egli vi andò a finire dentro, rimase proprio intrappolato e ancora oggi è là, nella luna. Sulla luna non possono mica trovare niente, perché non c’è niente! Quello che dicono montagne è Salvanèlo. Se si guarda bene bene sulla luna si vede con la carriola , specialmente con la luna piena, si vede proprio l’espressione di un uomo, un ladro con la carriola di cavoli. Anche quando hanno detto di essere andati sulla luna , cos’hanno trovato? Sono venuti giù con una sporta di sassi! Dicono, fanno, vanno in orbita…. Ma vaaaaa! Tutte cagnare!
Perché mia mamma mi diceva che il sole è l’occhio di Dio e la luna è l’occhio della Madonna. E vi sembra che da qui possono andare sull’occhio della Madonna?

Frisi e magna

C’erano una volta una mamma e una bambina che vivevano in una casetta più la stalla.
Venne Carnevale e la bambina piagnucolava: “Tutti mangiano le frittelle. Falle anche tu mamma, falle anche tu”.

Insisti e insisti, la donna si decise ad impastare: prese la farina, le uova, lo zucchero, l’uvetta, la polverina (il lievito) e fece le frittelle.

Ma sul più bello, al momento di friggere, si accorse di non avere la padella: “Vai fin lì da tò Barba (zio) Sucòn Suchèla e dì che t’impresti la sua padella”, ordinò alla bambina.

La piccola obbedì e, arrivata alla porta di quel vecchio rustico, bussò:
“ Barba Sucòn Suchèla m’imprestèo la vostra padella?”
una voce cavernosa le intimò di entrare: “ Sì che te la presto, ma mi devi portare in cambio le frittelle capito? Se no stanotte vengo a mangiarti!”, tuonò il vecchiaccio.

La bambina prese la padella e se ne scappò a casa. E lì: frisi e magna, frisi e magna, frisi e magna, le frittelle sparivano appena fritte da quanto erano buone!

Un bel momento la mamma si ricordò di Barba Sucòn Suchèla, ma era troppo tardi: tutto quel che era rimasto erano tre frittelline misere misere. Allora andò nella stalla, diede quattro cinque colpi alla groppa all’asinello e gli fece fare tre quattro bei petolotii di cacca, li impastò con un po’ di zucchero e li mise assieme alle frittelle: “ Prendi, portale al Barba Sucòn Suchèla e portagli anche questo”, e porse alla bambina un bottiglione pieno di piscio dell’asino, che pareva vino bianco.

Il vecchio sulle prime non s’accorse di niente, mise in bocca una frittella: “ Mmmm che buona !” mise in bocca un'altra frittella “ beeeh che cattiva !” un’altra “ Mmm che buona !” e un’altra frittella “ Beeh che cattiva!”, “Mmmm che buona!”, “Beeh che cattiva !”.

Bevve un sorso dal bottiglione: “ Ma che imbroglio è questo? Stanotte verrò a mangiarti !” disse alla povera bambina, fuori di sé dalla rabbia.

Quando giunse la sera la mamma sprangò bene porte e finestre e poi, non contenta, fece una bambola di stracci e la riempì di spilli e chiodi. Mise a letto con sé la bambina e nel lettino la bambola.

A mezzanotte si sentì arrivare Barba Sucòn Suchèla: avevano dimenticato di tappare il buco del camino e il vecchio entrò in casa proprio di lì: “ Varda che son chi sul prim scalìn” diceva salendo la scala
e la mamma sottovoce alla bambina le disse “ Ficata sòto! Ficate sòto”
“ Varda che son chi sul secondo scalìn”
“ Ficate sòto, ficate sòto”
“ Varda che son qua sul térso scalìn”
“ Ficate sòto, ficate sòto”
“ Varda che son qua sul quarto scalìn ! Varda che son qua in sima ala scala”
“ Ficate sòto, ficate sòto”
“ Varda che son qua vissìn al tò letìn”
“ Ficate sòto, ficate sòto”
“ Varda che son qua vissìn al tò cussìn”
“ Ficate sotò, ficate sòto”
“ Aaaaammm ca te magno”

Il vecchio mangiò la bambola al posto della bambina e si bucò le budelle con gli spilli e i chiodi!

Morì e la mamma e la bambina lo gettarono nel pozzo e furono libere.

FOLE E FILO'

Con la fine dell'autunno, le contrade e le corti cominciavano a vivere una vita di gruppo più intensa, perché il lavoro assumeva un ritmo diverso da quello delle stagioni produttive (primavera - estate). Nel cuore dell'inverno, la stalla diventa il centro della vita sociale e familiare perché le case erano umide e fredde e la legna scarseggiava. Così, al primo freddo novembrino, le famiglie di una contrada o di una corte, come i contadini del paese, si riunivano nella propria stalla o in quella del vicino e vi restavano fino ad un'ora "da cristiani", al caldo degli animali, sotto la luce di una lucerna a petrolio: era il filò. Durante il filò si parlava dei più e dei meno, ma esso aveva una fisionomia ben precisa, una ritualità e una sua importanza economica. Le donne si dedicavano al rammendo, a far calze, scarpette e, soprattutto a filare. La dote, sacrosanta, era messa insieme dalle ragazze durante il filò, magari sotto gli occhi attenti del moroso che misurava la bravura della futura sposa.
Le madri erano attente custodi che tra le figliole e i ragazzi non ci fossero eccessive confidenze. Anche le parole o le espressioni grasse dovevano essere evitate. In questo aspetto si deve riconoscere l'insegnamento della Chiesa che vedeva con preoccupazione morale la promiscuità dei filò. Gli uomini si dedicavano alla riparazione delle "arte", gli arnesi da lavoro. I "zughi dei filó" erano un passatempo ricercato dai giovani che, talvolta, rappresentava un premio e un timoroso approccio tra ragazzi e ragazze con la scusa della penitenza. La penitenza poteva essere un bacio alla "vecia Maria", uscire nella neve, baciare la coda di una vacca e, raramente per la verità, fare una carezza a qualche "butela"!
Ma il momento magico dei filò, che passava dalla povertà quotidiana allo splendore della creazione fantastica, scaturiva dai racconti dei "contafole", detti anche "poeti". La trama delle loro "fole' ripete schemi e argomenti noti in tutto il mondo, ma l'importanza della favola veneta deriva da un intrinseco valore, dovuto all'uso del dialetto, al riflesso che in essa troviamo di una società oggi scomparsa. C'erano poi le "fole de ciesa", ad argomento religioso, capaci di suscitare nei ragazzi motivi di educazione morale. Così il filò si trasformava in una scuola senza banchi, dove i ragazzi apprendevano dagli anziani il modo di pensare e di comportarsi, secondo l'esperienza. L'esperienza "dei veci" era l'unico libro aperto: alla scrittura, i contadini sostituivano la parola.

LA VITA A CORTE

Da ciò che si festeggia, ritualizza o esorcizza, si può ricostruire il passato e la cultura di un popolo che conserva una vera e propria memoria collettiva del suo passato che viene rivissuto in un certo senso come rito. In questa terra sempre ambita dall’acqua, possiamo trovare parecchie narrazioni e riti legati ad essa, alla paura della piena.
Sono molti nel Delta, i racconti sui gorghi, cioè delle voragini d’acqua ferma che si schiudevano nel terreno in contemporanea con alluvioni e piene.
Di molti di essi, si diceva che avessero inghiottito persone, case, chiese e paesi interi e che fossero sepolti sotto le acque come Atlantide.
Per quanto riguarda la zona del Delta del Po, nell’area di San Basilio, sussiste una leggenda di epoca medioevale sulla strega del gorgo di Martino, gorgo che è ancora esistente, e ci può essere anche la possibilità di visitarlo.
Oggetto di culto erano spesso gli animali, soprattutto le mucche dato il numero esiguo nel Delta del XIX secolo. La morte di un animale si trasformava in un vero e proprio lutto cittadino e viceversa il parto era un’occasione di festa.
L’intera esistenza dei lavoratori della terra, degli aspetti più personali alle occasioni sociali, era scandita dai ritmi della terra. Molte feste erano legate ai raccolti o alla nascita o l’uccisione delle bestie.
Nelle interiora degli animali le fattucchiere interpretavano il futuro, prevedevano l’andamento del raccolto oppure ricavavano efficaci preparati terapeutici.
I prodotti della terra non erano solo una fonte di nutrimento ma anche essenza basilare della scienza medica popolare.
Nel Delta di fine Ottocento, l’unico medico era di Ca’ Tiepolo (Porto Tolle) e quindi la pratica nelle zone limitrofe era lasciata spesso alla gente del luogo, e coloro che si dicevano esperti soltanto perché una volta avevano visto il medico operare.
Lo stesso accadeva nel caso delle levatrici, poche e difficili da convocare in tempo, perciò si sostituivano le donne del luogo. Esse erano esperte semplicemente perché avevano gia partorito.
Tanti altri rimedi caratterizzavano la cultura popolare, tra i quali alcuni considerati stregoneschi.
Il ciclo vitale, quindi, era molto segnato dalla ritualità della credenza popolare. La nascita in particolare è ricca di notizie curiose. Ad esempio, la partoriente non doveva vedere le anguille né le lepri poiché si narra che il bambino sarebbe nato con il labbro leporino. Numerose inoltre, erano le storielle legate alle voglie. La placenta doveva essere seppellita in giardino come gesto benaugurale e la partoriente senza latte doveva mangiare un piatto di minestra in compagnia della donna che lo aveva perché la montata lattea si formasse.
Per quanto riguarda la morte, le nubili venivano sepolte con il vestito da sposa. Il defunto poi non doveva essere pianto, perché egli avrebbe potuto scivolare sulle lacrime lungo la strada per il Paradiso.

TORTA DEI POVERI CON IL PANE VECCHIO

Ingredienti:
400 grammi di pane raffermo
1 litro di latte
1 etto di cacao dolce in polvere
2 uova
2 cucchiai di zucchero
1 sacchetto di uvetta
2 mele
1 etto di burro
½ scatola di amaretti
300 grammi di farina
1 bustina di lievito

Tagliare il pane a pezzi piccoli e metterlo a bagno nel latte per circa 45 minuti, fino all’assorbimento completo del latte. Sbucciare e tagliare a cubetti le mele, mettere a bagno l’uvetta nell’acqua tiepida e sciogliere il burro in una teglia. Sbriciolare gli amaretti nel pane, e continuando mescolare, aggiungere le uova, lo zucchero, le mele, il cacao, il burro,la farina e infine il lievito. Mescolare fino ad ottenere un impasto omogeneo. Rovesciare l’impasto in una teglia per dolci precedentemente imburrata e mettere nel forno già caldo per circa 1 ora a 180°.

VARIANTE: in origine la torta con il pane vecchio veniva preparata con alimenti semplici avanzati in casa come il pane vecchio e frutta di vario genere per questo è chiamata “ TORTA DEI POVERI”, oggi la disponibilità di alimenti come gli amaretti e il cacao rendono il dolce più sofisticato e saporito.

FOCACCIA CASERECCIA

Ingredienti:

500 grammi di farina
6 uova
175 grammi di burro
200 grammi di zucchero
1 bicchiere di latte
uvetta
1 fialetta di rum
1 bustina di lievito
cacao in polvere

Metodo di cottura:

Sbattere le uova, aggiungere il burro precedentemente sciolto a bagnomaria, il latte, lo zucchero, l’uvetta, il rum e mescolare bene.
Aggiungere la farina, un po’ di cacao in polvere a piacere e il lievito. Mescolare fino ad ottenere un composto semi-liquido omogeneo. Infornare per 55 minuti a 180°.

TORTA MINCONA o CASTAGNACCIO

Ingredienti:

500 grammi di farina di castagne
750 grammi di latte
Uvetta
Pinoli
1 bicchiere di olio d’oliva
3 cucchiai di zucchero

Metodo di cottura:

Impostare la farina con l’olio,latte lo zucchero d’uvetta e i pinoli.
Lasciate riposare l’impasto per almeno due ore.
Ungere una teglia con abbondante olio d’oliva, versare l’impasto e infornare a 170° per un’ora circa.

LA SMEIASSA

Ingredienti:
-5 patate dolci
-1 zucca media
-Uvetta e pinoli
-1 mela
-1 pizzico di sale
-2 cucchiai d’olio
-Scorza di limone grattugiata
-Cannella e mostarda
-1 fialetta di liquore alle mandorle
-4 cucchiai di zucchero
-1 bicchiere di latte
-Farina (quanto basta)

Metodo di preparazione:
A parte lessare, sbucciare e schiacciare le patate e la zucca, mescolare insieme la purea di patate e zucca con tutti gli ingredienti fino ad ottenere un impasto ben omogeneo.
Ungere con olio una teglia da forno lunga e bassa e versare l’impasto.
Cucinare a forno caldo (180°) per un’ora e mezza circa finché la torta risulta ben rosolata nella parte superiore.
Far raffreddare e servire.

TORTA DI PATATE DOLCI

Metodo di lavorazione e cottura:

Lessate le patate americane e sbucciatele. Schiacciatele per bene con le mani e poi mescolate assieme, in una terrina, tutti gli ingredienti, incominciando dalla farina i pezzetti di mela e di fichi secchi, il bicchiere di latte. L’uvetta. Lo zucchero, il miele. Legate tutto l’impasto con2 uova e aggiungete a piacere un bicchierino di liquore (rum anice e prugna) e sale. Preparate una casseruola unta di olio o di burro e spolverata di pane grattugiato, versate l’impasto ed infornatelo. Se desiderate decorare la vostra torta potete farlo disegnando con le buccie di arancia e limone in superficie, qualche fiore. La torta cuoce in un’ora circa.

Ingredienti per 6 persone:

Patate americane grosse 4
Mele grosse 3
Latte 1 bicchiere
Uva passa 1 hg
Zucchero 4 chiucchiai
Miele 1 cucchiaio
Farina fiore 1 bicchiere
Anice un bicchierino
Sale
Fichi secchi 1 hg
Uova 2

I TAMPLUN (frittelle con farina di castagna)

Ingredienti per 6 persone:

Uova 2
Farina di castagna 1kg.
Uva passa 1 hg.
Anice 1 cucchiaio
Limone qualche goccia
Panini inzuppati nel latte 2
Fichi secchi tagliati a pezzetti 2 hg.
Lievito 1 bustina
Sale un pizzico.

Metodo di lavorazione e cottura

In una terrina capace rompete le uova e poi aggiungete di seguito, mescolando continuamente, la farina di castagna, due o tre goccie di limone, il cucchiaio di anice, il pane inzuppato nel latte.
Lavorate questo impasto con pazienza e aggiungete poi l’uva passa, i fichi secchi e il lievito assieme a un pizzico di sale. Dovete ottenere una pasta consistente che potrete dividere facilmente in polpettine. Queste vanno sistemate in una teglia e messe in forno a rosolare, oppure se preferite, potete friggerle in unto di maiale con la tecnica che usate per cuocere le frittelle vere e proprie. Prima di servirle, spolverarle abbondantemente di zucchero.